Le origini del monachesimo cristiano
Premessa
Agli inizi del IV secolo, nel
momento in cui la Chiesa
si riconcilia col mondo, compare un movimento di contestazione che, per un
ritorno all'antica opposizione, rinunzia al mondo. Il fenomeno si verifica
soprattutto nei paesi dove la cultura ellenistica, di cui ormai era evidente il
logorio, aveva a lungo soffocato una veneranda saggezza indigena, in Siria e in
Egitto.
Il Donatismo aveva tratto la propria
giustificazione dalla persecuzione di Costanzo. Verso la metà del secolo,
Vitellio Afro sostiene che i cristiani sono sempre stati perseguitati, sino a Diocleziano,
poiché la fede stessa implica la persecuzione. La repressione di Costanzo nei
confronti dei Donatisti, è la prova che sono loro i veri cristiani. Tale
argomento, non privo di fondamento, mette in luce le contraddizioni di un
Impero cristiano e le compromissioni della Chiesa ufficiale. Il martirio
rappresentava una specie di compimento logico della ricerca della perfezione
cristiana. Ora, la conversione dei dirigenti dell'Impero è commisurata
all'inserimento dei cristiani nella società. Ciò attenua la tensione
escatologica del cristianesimo e può anche provocare conversioni interessate.
In luogo del martirio, la fuga del
mondo si raffigura come un'altra via di accesso alla perfezione. La vita
monastica sostituisce il martirio. E sotto numerosi aspetti, l'ideale monastico
è nato da una reazione contro gli inevitabili compromessi che la Chiesa dell'epoca
constantiniana si rassegnava ad accettare. L'anacoresi, cioè il ritiro verso il
deserto, permette di realizzare l'aspirazione ad una vita celeste.
Una questione controversa
Le origini del monachesimo cristiano
sono avvolte nell'oscurità. In una oscurità così fitta e impenetrabile, che la
questione è aperta e in discussione da almeno sedici secoli, e cioè dal tempo
di Girolamo.
Una prima tesi: il monachesimo
cristiano affonda le sue radici nel paganesimo dell'Egitto. I cosiddetti
katochoi (κατοχος=trattenuto) o reclusi dei Templi di Serapide conducevano una
vita monastica in piena regola. Rinunciavano alle loro sostanze; si
circondavano di una stretta clausura; osservavano la castità perfetta;
praticavano l'ascesi sotto varie forme; si davano reciprocamente i titoli di
'padre' e 'fratello'; lottavano contro i demoni nei sogni e nelle visioni. In
una parola, troviamo tra loro gli stessi schemi in seguito usati dai primi
monaci cristiani, e dunque, poiché il monachesimo cristiano fa la sua comparsa
proprio nelle adiacenze dei famosi templi dedicati a Serapide, Weingarten si
ritenne autorizzato a proclamare senza esitazione che i katochoi diedero
ispirazione ed origine al monachesimo cristiano.
Questa tesi fece sensazione negli
ambienti intellettuali. Si formò un'ampia produzione critica d'accordo nel
negare il carattere originale e indipendente del monachesimo cristiano.
Le principali opinioni al riguardo
sono le seguenti.
Cristo non insegnò mai un'etica che
implicasse l'ascesi. Paolo stravolse il messaggio evangelico nel predicare la
rinuncia e proclamare i grandi meriti della verginità: queste idee, a quanto
dicono, derivano dall'ambiente religioso e filosofico dell'epoca, prodotte da
una visione pessimistica del mondo e da un dualismo radicale.
I primi anacoreti e cenobiti
cristiani furono semplici imitatori dei monaci buddhisti o risalgono agli
Esseni o ai terapeuti del giudaismo.
Altri sottolineano soprattutto
l'influenza decisiva delle religioni misteriche, del neoplatonismo e di altre
scuole filosofiche greche.
Il monachesimo sarebbe il prodotto
di una combinazione di idee filosofiche e religiose che si propagarono nel
mondo di lingua greca dal II al IV secolo; il lessico, i costumi, gli ideali
derivano da sistemi estranei al cristianesimo confluiti nelle sue origini.
Il monachesimo cristiano non è
figlio né delle forme ascetiche dell'induismo o del buddhismo, né delle
comunità pitagoriche, né di qualsiasi altra manifestazione del genere. Si
tratta di pure affinità accidentali, superficiali o apparenti.
I monaci cristiani si ritirano per
seguire Cristo e cercare Dio, mentre la rinuncia dei monaci buddhisti è
ispirata dal convincimento che il mondo e la persona sono una pura e nefasta
illusione, e inoltre dal desiderio di evadere dalla cattività della vita
individuale e del ciclo delle reincarnazioni per fondersi nel grande Tutto
impersonale o accedere al nirvana.
Non è possibile accettare il
parallelismo che è stato suggerito tra 1'"uomo divino" e 1'"uomo
di Dio". Il saggio pitagorico era considerato come un 'uomo divino' ed
anche come un dio, perché il suo unico titolo per presentarsi come inviato di Dio consisteva proprio nel
suo partecipare della natura divina. Scrive Atanasio che Antonio provava
vergogna per l'atto del mangiare, e naturalmente si pensa all'influenza della
Vita di Pitagora su quella dell'illustre anacoreta; ma in realtà se Antonio ed
altri monaci si vergognavano di mangiare, ciò avveniva perché il loro supremo
interesse era la nutrizione spirituale, e quella schiavitù del cibo impediva
loro di essere uniti con Dio in permanenza e in piena coscienza. Pitagora
invece non doveva essere guardato mentre mangiava affinché non perdesse la fama
di 'uomo divino'. Nelle origini del cristianesimo non troviamo l"uomo divino'
del mondo greco e cioè il filosofo, ma l'Uomo Dio e cioè Cristo. Le radici
della vita monastica vanno cercate nell'esempio di Cristo e degli apostoli, nei
martiri e negli angeli. Nell''uomo di Dio' cristiano, l''uomo divino' della
grecità trova la sua autentica realizzazione e redenzione.
I progenitori del monachesimo non
furono certamente i filosofi. Si giustifica l'ascesi con ragioni evangeliche.
Se il monachesimo primitivo non deve
la sua esistenza e la sua ispirazione di fondo ad influenze estranee al cristianesimo,
ciò non vuol dire comunque che i monaci si considerassero del tutto estranei a
conflitti e ad infiltrazioni rispetto alle tradizioni filosofiche e alle
correnti spirituali del 'mondo esterno'. Niente e nessuno può sottrarsi
all'influenza dell'ambiente. Pacomio, il grande padre del cenobitismo, era
"completamente imbevuto della sapienza dell'antico Egitto". La
dottrina di monaci come Giovanni Cassiano deve non poco alla formazione
filosofica ricevuta nel mondo.
I monaci si interrogano sulle proprie
origini
Gli asceti ebraici che compaiono
nella Bibbia sono alla radice della vita monastica, non tanto i terapeuti, gli
esseni o i cenobiti di Qumran. Girolamo tracciava questo magnifico albero
genealogico a proposito di Paolino di Nola.
Altri fanno risalire il proprio
albero genealogico alle origini stesse del genere umano. Giovanni Crisostomo
paragona i solitari della Siria ad Adamo.
I solitari antichi conoscevano molto
bene le Scritture. In esse scoprirono il tema affascinante del deserto. Come è risaputo,
il deserto occupa un posto centrale nella storia e nella stessa formazione del
popolo eletto. Quando Dio volle sposarsi con il popolo di Israele, secondo
l'efficace immagine della Bibbia, lo condusse al deserto, e lì si realizzarono
i grandi prodigi della predilezione divina: l 'Esodo! Ma il deserto non era un
paradiso di delizie spirituali: era anche un banco di prova, di tentazione e di
lotta con i nemici di Dio.
In questo scenario inospitale e
crudele si prepararono alla loro missione Abramo, Giacobbe, Mosè, Elia e
perfino Gesù Cristo.
Il vero fondatore del monachesimo,
secondo i padri della chiesa, fu il Signore.
Il monachesimo cristiano sorge dalla
dottrina e dall'esempio di Cristo, che non solo formulò i principi fondamentali
della spiritualità monastica, ma li mise anche in pratica: deserto, digiuno,
lotta con il demonio, solitudine, preghiera, rinuncia dei beni, obbedienza.
Gesù Cristo è l'ideale del monaco.
Dopo Gesù vengono gli apostoli, e
con loro la comunità che si formò a Gerusalemme. La bella descrizione
dell'ideale dei primi cristiani di Gerusalemme, che dobbiamo all'evangelista
Luca esercitò un forte influsso sul monachesimo.
I monaci dell'antichità, quindi, si
consideravano i continuatori della genealogia degli amici di Dio che ci sono
noti attraverso le Scritture, soprattutto di quelli che conobbero l'esperienza
del deserto e praticarono una vita più o meno somigliante alla loro.
Gli inizi della vita religiosa
La vita religiosa, così come
praticamente si è venuta svolgendo nella chiesa, è inseparabilmente collegata
con la sua sostanza stessa e in un certo senso costituisce il cuore della vita
cristiana. La chiesa ha sempre curato in modo del tutto speciale la vita
religiosa, non tanto per la sua utilità nei riguardi della cultura e della
società in genere, ma proprio perché vede adempiuta in essa, nella maniera più
perfetta, la sua missione pastorale.
Nella storia della chiesa, sia in
generale che nei singoli paesi, gli ordini religiosi sono un termometro sicuro
per misurare il livello spirituale di tutta la vita cristiana. Dove fioriscono
i chiostri fiorisce la vita cristiana anche nel popolo, e viceversa dove essi
decadono essa pure decade. Tutti coloro che combattono la chiesa come
istituzione lo hanno esperimentato. In tutte le eresie più recenti e in tutte
le imprese ostili alla religione, la lotta contro i conventi fu sempre un punto
capitale del programma, e all'interno stesso della chiesa, le correnti ostili
alla vita dei conventi hanno sempre portato a delle deviazioni, quando non
addirittura a delle apostasie.
Gli inizi del monachesimo
Nasce in Egitto nella seconda metà
del III secolo.
Gli storici di solito segnalano
varie cause come determinanti per l'insorgere del monachesimo cristiano.
La tesi forse più diffusa stabilisce
una connessione stretta tra le origini del monachesimo e lo sviluppo della
chiesa, soprattutto dopo la pace di Costantino. Il cristianesimo era diventato
un movimento popolare, di massa. Vedendo fatalmente calare il livello religioso
e morale delle loro comunità, gli asceti si sentirono a disagio. Secondo questa
tesi, il monachesimo è in primo luogo una prosecuzione del cristianesimo
primitivo, separato dal mondo.
Una seconda spiegazione ricollega le
origini monastiche ai cristiani che si rifugiarono nelle zone montuose e
desertiche durante le persecuzioni e che si adattarono a vivere in solitudine.
Una terza opinione diametralmente
opposta alla seconda, è quella di coloro che ritengono che i fondatori del
monachesimo cristiano affrontassero di propria iniziativa un martirio che
l'impero aveva ormai rinunciato ad infliggere. Secondo questa interpretazione,
la vita monastica non sarebbe che un surrogato del martirio, un martirio
incruento. E' un'idea molto diffusa nella letteratura, cristiana antica.
Sono state formulate altre ipotesi.
Alcuni pensano che i primi monaci
desideravano in primo luogo lottare col demonio nel suo stesso feudo, e cioè il
deserto; altri, che i monaci cercavano il paradiso perduto; altri ancora, che
li spingeva il desiderio di contemplare Dio e le cose divine; altri infine molto meno idealisti danno molto peso al desiderio di fuga dalle
ristrettezze economiche, assillo del contadino copto. Alla vocazione monastica
possono essere collegate numerose motivazioni come ad esempio "per
liberarsi dalla schiavitù, o da un debito, o dalla sottomissione ai genitori, o
dalla collera di una donna", ecc.
Ma da quale esigenza fu spinto il
primo monaco? La caratteristica più ovvia ed evidente della vocazione di
Antonio (Atanasio la presenta come una tipica vocazione monastica) è quella di
dare una risposta libera e generosa al richiamo del Signore contenuto nel
Vangelo "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai
poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi". Non si allontanò
dagli uomini se non per cercare Dio con cuore libero". I suoi emuli fanno
lo stesso. Intendono il vangelo in tutto il suo rigore letterale; non lo
interpretano in modo accomodante; abbandonano ogni cosa. "E per mettere in
pratica questo distacco totale si dirigono dove non c'è nulla, e cioè nel
deserto". Alcuni studiosi moderni hanno dimostrato le motivazioni
religiose della conversione e del distacco dal mondo. “La molla che diede
origine al monachesimo è certamente la necessità che spinse le anime a fuggire
dal mondo per consacrarsi liberamente al servizio esclusivo di Dio. Vogliono
rompere con il mondo profano, votato alla distruzione o quanto meno troppo
invadente, in modo ancora più netto che non attraverso la semplice promessa
della verginità”.
Per lo più l'esodo monastico fu
favorito dalle circostanze. Il secolo III fu un periodo estremamente tormentato
e violento della storia dell'impero, pieno di calamità e sofferenze, di crimini
impuniti e di corruzione morale. Una burocrazia senza spina dorsale
tiranneggiava i cittadini e precludeva ogni sorta di sviluppo politico e
sociale. Un impoverimento generale e progressivo poneva ostacoli insuperabili
allo spirito di iniziativa. Le scienze attraversavano un periodo di stasi.
L'umanità insomma sembrava soffrire di un'irrimediabile decadenza. Nessuna
speranza terrestre illuminava la vita. Andava inoltre diffondendosi il
convincimento che il mondo fosse prossimo alla fine. Quale rifugio restava
all'uomo se non quello della religione, della speranza in un mondo futuro in
cui tutte le ingiustizie del presente sarebbero state sanate?
Sorsero dappertutto gruppi gnostici
che, reagendo contro la depravazione dei costumi, il più delle volte
predicavano un modello morale molto severo, un'ascesi estenuante. Vigeva
l'encratismo (εγκρατεια=continenza, indica una forma di ascetismo estremo, che
nella chiesa antica è apparso subito sospetto, in quanto implicava il rifiuto
delle nozze e dell'uso di cibarsi con carne). Faceva la sua comparsa il
manicheismo. Tutto questo influisce sul monachesimo nascente.
Anche la pace all'interno della
chiesa e la conseguente ondata di umanità profana e mediocre che la sommerse,
con i neofiti mal preparati e poco convinti, contribuirono in gran parte a
ingrossare le file degli anacoreti. Il monachesimo cristiano è quasi
ossessionato dall'esempio offerto dalla comunità apostolica di Gerusalemme per
la fede, per la vita di santità, il fervore e l'entusiasmo, l'intima unione dei
cuori, la comunità dei beni, la perseveranza nella preghiera: una serie di
valori, insomma, che mancavano o erano alquanto fraintesi nelle comunità
ecclesiali di quel tempo.
Il mondo pittoresco dei primi monaci
Che cosa si intende per vita
monastica? Molti autori pensano al cenobitismo pacomiano.
Se la vita degli anacoreti e dei
cenobiti copti è la sola a meritare il nome di monachesimo, allora è evidente
l'origine copta. Ma questo è in contraddizione con l'opinione degli antichi e
di conseguenza non sembra possibile chiamare monachesimo 'preistorico' quelle
forme monastiche che non abbiano origine nel paese del Nilo. Girolamo nel 384,
Agostino nel 389, Cassiano nel 426 e prima del 384 le anonime Consultationes
Zacchei et Apollonii si interessano del tema. Secondo le Consultationes (opera
forse di Firmico Materno scritta in Italia verso il 360: un pagano Apollonio
interroga un cristiano Zaccheo) tre sono i livelli della vita monastica:
eremiti o anacoreti (monaci in senso
stretto),
asceti (si riuniscono per pregare),
chi conduce una vita casta e
religiosa, che si distingue appena dalla vita del comune fedele.
L'appellativo monaco poi è usato in
modo dispregiativo verso coloro che in precedenza erano continenti o asceti.
Agostino parla di due categorie di monaci
anacoreti e cenobiti ma descrive
le comunità urbane di Milano e di Roma. Girolamo e Cassiano distinguono tre
categorie: cenobiti, anacoreti e una terza remnuoth (Gerolamo), e sarabaitae
Cassiano) [falsi apostoli, comparsi in Egitto dopo la morte degli apostoli;
dall'ebraico sarab ribelle]. Il terzo gruppo è presentato con tinte fosche.
Sono i peggiori di tutti, infedeli, eretici e scismatici. Sono accusati di
ribellione, di superbia.
Girolamo e Cassiano esagerano perché
devono in quel momento difendere il cristianesimo copto. Possiamo stare sicuri
che i tanto bistrattati sarabaiti non erano così perversi come li dipingono;
anche se, con ogni probabilità, alcuni di essi non fecero onore alla loro
vocazione, a parte gli abusi di cui li accusano i loro censori, il loro stile
di vita era di per sé perfettamente accettabile. Altri autori, come Egeria e
Cirillo di Gerusalemme, li ricordano con simpatia.
Questo modo di concepire e praticare
la vita monastica era antico almeno quanto il cenobitismo egiziano. I remnuoth,
i sarabaitae, i 'figli e figlie del patto', gli apotaktitai, i monazontes kai
parthenas, menzionati negli scritti e nei sermoni di Atanasio, Egeria, Basilio,
Gregorio di Nazianzo, Cirillo di Gerusalemme e tanti altri padri, in realtà
appartengono a una medesima categoria di monaci il cui nome variava col variare
dei paesi di origine. Per rendersene conto basta scorrere l'Itinerarium di
Egeria di nobile famiglia fece parte di una comunità religiosa, situata
probabilmente in Galizia; in questo diario descrive le tappe del suo viaggio
[Egitto, Palestina, Mesopotamia, Costantinopoli], le chiese di Gerusalemme e
dei suoi dintorni, incontra dei monaci nel Sinai, in Egitto, in Siria, in
Mesopotamia, alcuni l’accompagnano; i monasteri si presentano come degli
eremitaggi, nei pressi di una chiesa officiata da un prete).
Tutte le forme ascetiche descritte
possono rientrare nell'ampia "terza categoria di monaci" che
incontriamo da ogni parte. Secondo Giuliano l'apostata i cristiani davano il
nome di apotaktitai a quei monaci itineranti che vivevano di elemosine. Sono
girovaghi. Altri vivevano in luoghi appartati da soli o in piccoli gruppi. In
genere abitavano nelle città o nei villaggi. Si raccoglievano intorno a una
chiesa le vergini sotto l'autorità di
una diaconessa e partecipavano
attivamente al culto divino. Dipendevano giuridicamente dal vescovo locale.
Erano animati da due concetti: un vivo entusiasmo per le cose dello spirito,
una marcata avversione per i beni terreni, come il matrimonio, le ricchezze,
gli onori e le comodità (questo rifiuto sfociò a volte nello scisma e
nell'eresia). Tutti avevano il dovere di notificare al vescovo la loro
decisione.
In occidente registriamo un fenomeno
molto simile se non identico. Si tratta di comunità di chierici, di vergini e
di monaci laici, raggruppate sotto la direzione di un vescovo o di un
presbitero (Eusebio a Vercelli, Martino a Tours, Ambrogio a Milano, Agostino a
Ippona... ).
"Fu questa la vita monastica
che sbocciò spontaneamente in seno alle chiese cristiane, frutto delle diverse
forme di fervore religioso. Il monachesimo figlio dell'ascesi primitiva, era
ispirato dalle stesse tendenze che in Egitto spingevano i solitari a inoltrarsi
nel deserto onnipresente. L'organizzazione embrionale, la mancanza di
equilibrio nelle convinzioni ascetiche, la nutrita presenza dei monaci in tutte
quelle zone in cui non si erano fatti strada i valori del cenobitismo copto,
sono elementi che ci inducono a collocare le sue origini in un momento “almeno
altrettanto lontano rispetto a quello in cui Antonio reclutava i suoi primi
discepoli".
Antonio (250 356)
(anacoreta/eremita)
Nacque a Coma (oggi Kiman el Arus),
nel medio Egitto da genitori contadini benestanti. "Se vuoi essere
perfetto, va', vendi quello che hai, dallo ai poveri". Ascolta l'invito.
La vocazione di Antonio è autenticamente evangelica.
Si stabilisce in un tugurio con un
anziano, lavora, prega, visita altri campioni spirituali, è equilibrato, lotta
con il demonio.
Va a stabilirsi più lontano in un
luogo zeppo di tombe e i demoni si fanno avanti col picchiarlo, assumono
l'aspetto di belve spaventose. Ha vinto. Ha 35 anni.
Ora avverte la necessità di
ritirarsi nel cuore del deserto: é il passo definitivo e si stabilisce
all'interno di un forte abbandonato. Trascorrerà vent'anni della sua vita. Ha
55 anni, è il perfetto uomo di Dio e riceve il dono della paternità spirituale.
Si forma una colonia di eremiti. Si direbbe che ci troviamo in un mondo nuovo,
i cui abitanti vivono già la vita della città celeste. E' l'atto di nascita,
secondo Atanasio, del monachesimo del deserto. Sono fondate numerose colonie
monastiche. Queste attività furono interrotte dalla persecuzione di Massimino.
Antonio e i suoi discepoli decisero di recarsi ad Alessandria. Ma il prefetto
romano li fece espellere. Dopo il martirio del patriarca Pietro (311), Antonio
si rivolse ancora alla sua solitudine, deciso a farsi martire attraverso
un'ascesi sempre più rigorosa. Ma il nuovo deserto era diverso da quello di prima.
Tutto il mondo lo cercava e lo venerava come santo e uomo di Dio. E così pensò
bene di scappare e nascondersi.
Scopre un luogo piano, un luogo
ideale per vivere da eremita. I suoi discepoli trovano il suo nascondiglio e si
accordano per incontrarsi periodicamente.
Fa un altro viaggio ad Alessandria,
invitato con insistenza dai vescovi e da tutti i fratelli a smentire gli
ariani, che avevano affermato che Antonio condivideva le loro idee. Trascorse
gli ultimi quindici anni di vita in compagnia di due discepoli.
Questo è il racconto di Atanasio. E'
storicamente attendibile? Atanasio non avrebbe potuto inventare una biografia.
Quanto ai miracoli, alle profezie e alle lotte coi demoni possiamo avanzare
qualche riserva. E' molto probabile che vedesse i demoni dove non c'erano.
Tuttavia fu uno dei taumaturghi più illustri che siano esistiti.
Antonio non apparteneva al clero, ma
verso i sacerdoti mostrò sempre una grandissima venerazione. Gente di ogni
condizione ricorreva a lui per chiedere consiglio. Costantino e i suoi figli
gli scrissero delle lettere. Atanasio ed altri vescovi si recarono a visitarlo.
Dava volentieri esortazioni riguardo alla salvezza dell'anima, sebbene talora
non mancasse di durezza nel farlo, ma era nella solitudine soltanto che si
trovava a suo agio. Sant'Atanasio disse di lui: "Fu un uomo tutto d'un
pezzo, che non con gli scritti, né con la sapienza del mondo e nemmeno con
qualche occulto potere, ma solo per la sua pietà è diventato celebre".
“Antonio era solito mangiare una sola volta al giorno, dopo il tramonto, e
talvolta non prendeva cibo per due, o spesso per quattro giorni. Il suo cibo
era pane e sale; beveva solo acqua" (Atanasio).
Pacomio (292 346) (cenobita)
Lo sviluppo e l'organizzazione della
vita anacoretica in raggruppamenti comportavano ancora molti pericoli: dal
punto di vista spirituale, da quello materiale, perché il numero dei monaci
così dispersi era troppo alto. Con Pacomio appare un nuovo tipo di monachesimo
che, per reazione, non mette più l'accento sulla solitudine, ma sulla
"vita comune" e, di conseguenza, sull'obbedienza. Dopo essersi
esercitato per sette anni nella vita solitaria, Pacomio fonda, verso il 320, la
sua prima comunità a Tabennisi, un villaggio abbandonato dell'alto Egitto. In
seguito fonda altre comunità e compone per esse una regola, che è la più antica
che si conosca. Cinto da un muro, il monastero pacomiano comprende, con la
cappella e le sue dipendenze, una serie di case fatte per una ventina di monaci
sotto l'autorità di un preposito, assistito da un sostituto; tre o quattro
formano una tribù; tutte le tribù fanno capo all'abate, che con il suo
assistente assicura la direzione spirituale della comunità e il buon
funzionamento dei servizi generali. Le case delegano ogni settimana il numero
dei monaci necessario a questi servizi. La maggior parte della giornata è,
dunque, occupata nei servizi generali o nei campi. Ogni gruppo di lavoro ha il
proprio capo, il quale deve rendere conto all'abate. Tutto è all'egiziana, come
al tempo dei faraoni, i cui sovrintendenti vigilavano sul lavoro; la differenza
sta nel fatto che qui tutto si svolge volontariamente. Ciò che Pacomio
pretendeva era di pervenire all'autentica unione dei cuori, all'unanimità. Ma
la primitiva comunità di Gerusalemme era il modello che si doveva imitare.
"Un cuor solo e un'anima sola". E dunque per Pacomio questa idea si
materializza nei servizi che i fratelli reciprocamente si prestano. Pacomio si
oppose ad ogni estremismo. Esigeva regolarità nei pasti come nel culto divino e
voleva che le sue comunità fossero autosufficienti mediante il lavoro dei
monaci, come l'intrecciare stuoie e il coltivare frutta e verdura. Chi entrava
nella sua comunità doveva depositare i suoi beni in un fondo comune e diventava
membro a pieno diritto dopo un periodo di prova. Per dimostrare la loro serietà
di intenzione, i novizi dovevano restare fuori della porta del monastero per
parecchi giorni. Bisognava imparare a memoria alcune parti della Bibbia. Agli
analfabeti si insegnava loro a leggere e a scrivere.
Pacomio moriva nel 346, ma la sua
opera continuava a diffondersi. Gerolamo racconta che a Pasqua, quando i monaci
di tutti i monasteri, retti dalla regola di Pacomio, venivano pellegrinando a
Tabennisi, se ne potevano vedere radunati fino a 50.000 (le cifre che ci
forniscono le fonti certamente non concordano: Cassiano e Sozomeno 5000,
Palladio 3000, Gerolamo 50.000... !). Bisogna capire che il monachesimo di
Pacomio fu una specie di movimento sociale e che non era solo la devozione che
muoveva tanti ad abbandonare il lavoro nei domini statali, ma la maggior
umanità con cui erano trattati nel monastero.
A differenza di Antonio, Pacomio non
era un ricco proprietario quando aveva abbracciato la vita monastica. Per
guadagnare da vivere sia lui che i suoi primi compagni lavoravano come
braccianti agricoli. Non era tuttavia l'agricoltura, ma il lavoro manuale ad
assicurare ai monaci le principali risorse. I monasteri pacomiani erano vere e
proprie repubbliche di lavoratori di ogni genere.
Nell’ordine dei pacomiani si segnalano
due figure:
Orsiesi, abate generale, durante il
cui governo ci fu un’ondata di secolarizzazione che investì la maggior parte
dei monasteri e portò già nella seconda generazione del cenobitismo ad una
prima “controversia sulla povertà”; nominò suo sostituto Teodoro (350-368) che
riportò la Koinonia
(12 monasteri maschili e 3 femminili). Orsiesi muore dopo il 386 con un
testamento in cui richiama l’eredità di Pacomio, la povertà senza compromessi, la Sacra Scrittura
come fondamento della aspirazione ascetica. Nel 390 Teofilo vescovo di
Alessandria fece costruire sulla costa egiziana del Mediterraneo il monastero
pacomiano della Metanoia sul luogo del
santuario di Serapide a Canopo, da lui distrutto.
Basilio (330 379) (regola)
Il monachesimo si estende sempre più
in tutto il vicino Oriente: in Palestina, all'inizio del sec. IV, con la
'laura' (=villaggio), in Siria. Il progresso decisivo viene però realizzato da
Basilio di Cappadocia che, verso il 357 si fa monaco e poi, dopo un viaggio di
informazione in Egitto, si stabilisce in una proprietà di famiglia sui monti
del Ponto con un gruppo di amici, fra i quali Gregorio, che diventerà più tardi
vescovo di Nazianzo.
Con Basilio vediamo generalizzarsi
la nuova concezione dell'istituzione monastica, promossa anche da Gerolamo;
essa farà legge nella storia della chiesa e avrà uno sviluppo nuovo e originale
con il monachesimo benedettino (VI secolo in poi): l'accento è messo ormai
deliberatamente sulla vita comune come norma dello sviluppo della vita spirituale.
Basilio aveva capito che la vita cristiana è soprattutto comunitaria, cioè vita
di amore scambievole, riflesso della vita trinitaria che ne è il modello.
Perciò nelle due regole che scrisse per i monaci, ritornò insistentemente
sull'unità, a cui essi dovevano arrivare, attraverso l'amore, perché si
realizzi quella promessa di Gesù a chi è unito nel suo nome.
L'ideale di Basilio e dei suoi
compagni consiste nel seguire Cristo, l'unica strada che conduce alla vita. I
mezzi per riuscirvi sono la rinuncia, l'ascesi e lo sforzo per giungere a Dio
attraverso la preghiera. Le occupazioni ordinarie del gruppo si riducono a
quattro: salmodia comunitaria, lavoro manuale, accompagnato dalla preghiera
segreta e dal canto di inni; lettura e meditazione delle scritture; preghiera
personale o privata. Basilio, essendo monaco e poi vescovo, integrò
maggiormente le comunità monastiche nella chiesa. Era convinto che spettasse al
vescovo l'autorità suprema sui monasteri. Al tempo stesso i monasteri
cominciarono ad aprirsi maggiormente al mondo.
Basilio perfezionò il cenobitismo
fondato da Pacomio.
L'opera di Pacomio è pratica e
concreta, mentre quella di Basilio si fonda su una dottrina ascetica e
monastica coerente, perfettamente sviluppata, vivacemente motivata e dedotta in
modo logico da principi chiaramente enunciati.
Pacomio crea monasteri immensi,
Basilio preferisce comunità molto più ristrette, autentiche 'confraternite'.
Pacomio è un accentratore, Basilio
opta per il decentramento.
Pacomio ammorbidisce l'ascesi individuale;
Basilio non vi fa affidamento.
Pacomio impone una grande quantità
di lavoro manuale: Basilio trova un equilibrio migliore tra lavoro e
preghiera...
Basilio organizzò in modo originale un cenobitismo autentico e
integrale.
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