sábado, 13 de fevereiro de 2016

LE ORIGINI DEL MONACHESIMO CRISTIANO

Le origini del monachesimo cristiano

Premessa
Agli inizi del IV secolo, nel momento in cui la Chiesa si riconcilia col mondo, compare un movimento di contestazione che, per un ritorno all'antica opposizione, rinunzia al mondo. Il fenomeno si verifica soprattutto nei paesi dove la cultura ellenistica, di cui ormai era evidente il logorio, aveva a lungo soffocato una veneranda saggezza indigena, in Siria e in Egitto.
Il Donatismo aveva tratto la propria giustificazione dalla persecuzione di Costanzo. Verso la metà del secolo, Vitellio Afro sostiene che i cristiani sono sempre stati perseguitati, sino a Diocleziano, poiché la fede stessa implica la persecuzione. La repressione di Costanzo nei confronti dei Donatisti, è la prova che sono loro i veri cristiani. Tale argomento, non privo di fondamento, mette in luce le contraddizioni di un Impero cristiano e le compromissioni della Chiesa ufficiale. Il martirio rappresentava una specie di compimento logico della ricerca della perfezione cristiana. Ora, la conversione dei dirigenti dell'Impero è commisurata all'inserimento dei cristiani nella società. Ciò attenua la tensione escatologica del cristianesimo e può anche provocare conversioni interessate.
In luogo del martirio, la fuga del mondo si raffigura come un'altra via di accesso alla perfezione. La vita monastica sostituisce il martirio. E sotto numerosi aspetti, l'ideale monastico è nato da una reazione contro gli inevitabili compromessi che la Chiesa dell'epoca constantiniana si rassegnava ad accettare. L'anacoresi, cioè il ritiro verso il deserto, permette di realizzare l'aspirazione ad una vita celeste.

Una questione controversa
Le origini del monachesimo cristiano sono avvolte nell'oscurità. In una oscurità così fitta e impenetrabile, che la questione è aperta e in discussione da almeno sedici secoli, e cioè dal tempo di Girolamo.
Una prima tesi: il monachesimo cristiano affonda le sue radici nel paganesimo dell'Egitto. I cosiddetti katochoi (κατοχος=trattenuto) o reclusi dei Templi di Serapide conducevano una vita monastica in piena regola. Rinunciavano alle loro sostanze; si circondavano di una stretta clausura; osservavano la castità perfetta; praticavano l'ascesi sotto varie forme; si davano reciprocamente i titoli di 'padre' e 'fratello'; lottavano contro i demoni nei sogni e nelle visioni. In una parola, troviamo tra loro gli stessi schemi in seguito usati dai primi monaci cristiani, e dunque, poiché il monachesimo cristiano fa la sua comparsa proprio nelle adiacenze dei famosi templi dedicati a Serapide, Weingarten si ritenne autorizzato a proclamare senza esitazione che i katochoi diedero ispirazione ed origine al monachesimo cristiano.
Questa tesi fece sensazione negli ambienti intellettuali. Si formò un'ampia produzione critica d'accordo nel negare il carattere originale e indipendente del monachesimo cristiano.
Le principali opinioni al riguardo sono le seguenti.
Cristo non insegnò mai un'etica che implicasse l'ascesi. Paolo stravolse il messaggio evangelico nel predicare la rinuncia e proclamare i grandi meriti della verginità: queste idee, a quanto dicono, derivano dall'ambiente religioso e filosofico dell'epoca, prodotte da una visione pessimistica del mondo e da un dualismo radicale.
I primi anacoreti e cenobiti cristiani furono semplici imitatori dei monaci buddhisti o risalgono agli Esseni o ai terapeuti del giudaismo.
Altri sottolineano soprattutto l'influenza decisiva delle religioni misteriche, del neoplatonismo e di altre scuole filosofiche greche.
Il monachesimo sarebbe il prodotto di una combinazione di idee filosofiche e religiose che si propagarono nel mondo di lingua greca dal II al IV secolo; il lessico, i costumi, gli ideali derivano da sistemi estranei al cristianesimo confluiti nelle sue origini.
Il monachesimo cristiano non è figlio né delle forme ascetiche dell'induismo o del buddhismo, né delle comunità pitagoriche, né di qualsiasi altra manifestazione del genere. Si tratta di pure affinità accidentali, superficiali o apparenti.
I monaci cristiani si ritirano per seguire Cristo e cercare Dio, mentre la rinuncia dei monaci buddhisti è ispirata dal convincimento che il mondo e la persona sono una pura e nefasta illusione, e inoltre dal desiderio di evadere dalla cattività della vita individuale e del ciclo delle reincarnazioni per fondersi nel grande Tutto impersonale o accedere al nirvana.
Non è possibile accettare il parallelismo che è stato suggerito tra 1'"uomo divino" e 1'"uomo di Dio". Il saggio pitagorico era considerato come un 'uomo divino' ed anche come un dio, perché il suo unico titolo per presentarsi  come inviato di Dio consisteva proprio nel suo partecipare della natura divina. Scrive Atanasio che Antonio provava vergogna per l'atto del mangiare, e naturalmente si pensa all'influenza della Vita di Pitagora su quella dell'illustre anacoreta; ma in realtà se Antonio ed altri monaci si vergognavano di mangiare, ciò avveniva perché il loro supremo interesse era la nutrizione spirituale, e quella schiavitù del cibo impediva loro di essere uniti con Dio in permanenza e in piena coscienza. Pitagora invece non doveva essere guardato mentre mangiava affinché non perdesse la fama di 'uomo divino'. Nelle origini del cristianesimo non troviamo l"uomo divino' del mondo greco e cioè il filosofo, ma l'Uomo Dio e cioè Cristo. Le radici della vita monastica vanno cercate nell'esempio di Cristo e degli apostoli, nei martiri e negli angeli. Nell''uomo di Dio' cristiano, l''uomo divino' della grecità trova la sua autentica realizzazione e redenzione.
I progenitori del monachesimo non furono certamente i filosofi. Si giustifica l'ascesi con ragioni evangeliche.
Se il monachesimo primitivo non deve la sua esistenza e la sua ispirazione di fondo ad influenze estranee al cristianesimo, ciò non vuol dire comunque che i monaci si considerassero del tutto estranei a conflitti e ad infiltrazioni rispetto alle tradizioni filosofiche e alle correnti spirituali del 'mondo esterno'. Niente e nessuno può sottrarsi all'influenza dell'ambiente. Pacomio, il grande padre del cenobitismo, era "completamente imbevuto della sapienza dell'antico Egitto". La dottrina di monaci come Giovanni Cassiano deve non poco alla formazione filosofica ricevuta nel mondo.

I monaci si interrogano sulle proprie origini
Gli asceti ebraici che compaiono nella Bibbia sono alla radice della vita monastica, non tanto i terapeuti, gli esseni o i cenobiti di Qumran. Girolamo tracciava questo magnifico albero genealogico a proposito di Paolino di Nola.
Altri fanno risalire il proprio albero genealogico alle origini stesse del genere umano. Giovanni Crisostomo paragona i solitari della Siria ad Adamo.
I solitari antichi conoscevano molto bene le Scritture. In esse scoprirono il tema affascinante del deserto. Come è risaputo, il deserto occupa un posto centrale nella storia e nella stessa formazione del popolo eletto. Quando Dio volle sposarsi con il popolo di Israele, secondo l'efficace immagine della Bibbia, lo condusse al deserto, e lì si realizzarono i grandi prodigi della predilezione divina: l 'Esodo! Ma il deserto non era un paradiso di delizie spirituali: era anche un banco di prova, di tentazione e di lotta con i nemici di Dio.
In questo scenario inospitale e crudele si prepararono alla loro missione Abramo, Giacobbe, Mosè, Elia e perfino Gesù Cristo.
Il vero fondatore del monachesimo, secondo i padri della chiesa, fu il Signore.
Il monachesimo cristiano sorge dalla dottrina e dall'esempio di Cristo, che non solo formulò i principi fondamentali della spiritualità monastica, ma li mise anche in pratica: deserto, digiuno, lotta con il demonio, solitudine, preghiera, rinuncia dei beni, obbedienza. Gesù Cristo è l'ideale del monaco.
Dopo Gesù vengono gli apostoli, e con loro la comunità che si formò a Gerusalemme. La bella descrizione dell'ideale dei primi cristiani di Gerusalemme, che dobbiamo all'evangelista Luca esercitò un forte influsso sul monachesimo.
I monaci dell'antichità, quindi, si consideravano i continuatori della genealogia degli amici di Dio che ci sono noti attraverso le Scritture, soprattutto di quelli che conobbero l'esperienza del deserto e praticarono una vita più o meno somigliante alla loro.

Gli inizi della vita religiosa
La vita religiosa, così come praticamente si è venuta svolgendo nella chiesa, è inseparabilmente collegata con la sua sostanza stessa e in un certo senso costituisce il cuore della vita cristiana. La chiesa ha sempre curato in modo del tutto speciale la vita religiosa, non tanto per la sua utilità nei riguardi della cultura e della società in genere, ma proprio perché vede adempiuta in essa, nella maniera più perfetta, la sua missione pastorale.
Nella storia della chiesa, sia in generale che nei singoli paesi, gli ordini religiosi sono un termometro sicuro per misurare il livello spirituale di tutta la vita cristiana. Dove fioriscono i chiostri fiorisce la vita cristiana anche nel popolo, e viceversa dove essi decadono essa pure decade. Tutti coloro che combattono la chiesa come istituzione lo hanno esperimentato. In tutte le eresie più recenti e in tutte le imprese ostili alla religione, la lotta contro i conventi fu sempre un punto capitale del programma, e all'interno stesso della chiesa, le correnti ostili alla vita dei conventi hanno sempre portato a delle deviazioni, quando non addirittura a delle apostasie.

Gli inizi del monachesimo
Nasce in Egitto nella seconda metà del III secolo.
Gli storici di solito segnalano varie cause come determinanti per l'insorgere del monachesimo cristiano.
La tesi forse più diffusa stabilisce una connessione stretta tra le origini del monachesimo e lo sviluppo della chiesa, soprattutto dopo la pace di Costantino. Il cristianesimo era diventato un movimento popolare, di massa. Vedendo fatalmente calare il livello religioso e morale delle loro comunità, gli asceti si sentirono a disagio. Secondo questa tesi, il monachesimo è in primo luogo una prosecuzione del cristianesimo primitivo, separato dal mondo.
Una seconda spiegazione ricollega le origini monastiche ai cristiani  che  si rifugiarono nelle zone montuose e desertiche durante le persecuzioni e che si adattarono a vivere in solitudine.
Una terza opinione diametralmente opposta alla seconda, è quella di coloro che ritengono che i fondatori del monachesimo cristiano affrontassero di propria iniziativa un martirio che l'impero aveva ormai rinunciato ad infliggere. Secondo questa interpretazione, la vita monastica non sarebbe che un surrogato del martirio, un martirio incruento. E' un'idea molto diffusa nella letteratura, cristiana antica.

Sono state formulate altre ipotesi.
Alcuni pensano che i primi monaci desideravano in primo luogo lottare col demonio nel suo stesso feudo, e cioè il deserto; altri, che i monaci cercavano il paradiso perduto; altri ancora, che li spingeva il desiderio di contemplare Dio e le cose divine; altri infine   molto meno idealisti   danno molto peso al desiderio di fuga dalle ristrettezze economiche, assillo del contadino copto. Alla vocazione monastica possono essere collegate numerose motivazioni come ad esempio "per liberarsi dalla schiavitù, o da un debito, o dalla sottomissione ai genitori, o dalla collera di una donna", ecc.
Ma da quale esigenza fu spinto il primo monaco? La caratteristica più ovvia ed evidente della vocazione di Antonio (Atanasio la presenta come una tipica vocazione monastica) è quella di dare una risposta libera e generosa al richiamo del Signore contenuto nel Vangelo "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi". Non si allontanò dagli uomini se non per cercare Dio con cuore libero". I suoi emuli fanno lo stesso. Intendono il vangelo in tutto il suo rigore letterale; non lo interpretano in modo accomodante; abbandonano ogni cosa. "E per mettere in pratica questo distacco totale si dirigono dove non c'è nulla, e cioè nel deserto". Alcuni studiosi moderni hanno dimostrato le motivazioni religiose della conversione e del distacco dal mondo. “La molla che diede origine al monachesimo è certamente la necessità che spinse le anime a fuggire dal mondo per consacrarsi liberamente al servizio esclusivo di Dio. Vogliono rompere con il mondo profano, votato alla distruzione o quanto meno troppo invadente, in modo ancora più netto che non attraverso la semplice promessa della verginità”.
Per lo più l'esodo monastico fu favorito dalle circostanze. Il secolo III fu un periodo estremamente tormentato e violento della storia dell'impero, pieno di calamità e sofferenze, di crimini impuniti e di corruzione morale. Una burocrazia senza spina dorsale tiranneggiava i cittadini e precludeva ogni sorta di sviluppo politico e sociale. Un impoverimento generale e progressivo poneva ostacoli insuperabili allo spirito di iniziativa. Le scienze attraversavano un periodo di stasi. L'umanità insomma sembrava soffrire di un'irrimediabile decadenza. Nessuna speranza terrestre illuminava la vita. Andava inoltre diffondendosi il convincimento che il mondo fosse prossimo alla fine. Quale rifugio restava all'uomo se non quello della religione, della speranza in un mondo futuro in cui tutte le ingiustizie del presente sarebbero state sanate?
Sorsero dappertutto gruppi gnostici che, reagendo contro la depravazione dei costumi, il più delle volte predicavano un modello morale molto severo, un'ascesi estenuante. Vigeva l'encratismo (εγκρατεια=continenza, indica una forma di ascetismo estremo, che nella chiesa antica è apparso subito sospetto, in quanto implicava il rifiuto delle nozze e dell'uso di cibarsi con carne). Faceva la sua comparsa il manicheismo. Tutto questo influisce sul monachesimo nascente.
Anche la pace all'interno della chiesa e la conseguente ondata di umanità profana e mediocre che la sommerse, con i neofiti mal preparati e poco convinti, contribuirono in gran parte a ingrossare le file degli anacoreti. Il monachesimo cristiano è quasi ossessionato dall'esempio offerto dalla comunità apostolica di Gerusalemme per la fede, per la vita di santità, il fervore e l'entusiasmo, l'intima unione dei cuori, la comunità dei beni, la perseveranza nella preghiera: una serie di valori, insomma, che mancavano o erano alquanto fraintesi nelle comunità ecclesiali di quel tempo.

Il mondo pittoresco dei primi monaci
Che cosa si intende per vita monastica? Molti autori pensano al cenobitismo                                                                                   pacomiano.
Se la vita degli anacoreti e dei cenobiti copti è la sola a meritare il nome di monachesimo, allora è evidente l'origine copta. Ma questo è in contraddizione con l'opinione degli antichi e di conseguenza non sembra possibile chiamare monachesimo 'preistorico' quelle forme monastiche che non abbiano origine nel paese del Nilo. Girolamo nel 384, Agostino nel 389, Cassiano nel 426 e prima del 384 le anonime Consultationes Zacchei et Apollonii si interessano del tema. Secondo le Consultationes (opera forse di Firmico Materno scritta in Italia verso il 360: un pagano Apollonio interroga un cristiano Zaccheo) tre sono i livelli della vita monastica:
eremiti o anacoreti (monaci in senso stretto),
asceti (si riuniscono per pregare),
chi conduce una vita casta e religiosa, che si distingue appena dalla vita del comune fedele.
L'appellativo monaco poi è usato in modo dispregiativo verso coloro che in precedenza erano continenti o asceti. Agostino parla di due categorie di monaci   anacoreti e cenobiti   ma descrive le comunità urbane di Milano e di Roma. Girolamo e Cassiano distinguono tre categorie: cenobiti, anacoreti e una terza remnuoth (Gerolamo), e sarabaitae Cassiano) [falsi apostoli, comparsi in Egitto dopo la morte degli apostoli; dall'ebraico sarab ribelle]. Il terzo gruppo è presentato con tinte fosche. Sono i peggiori di tutti, infedeli, eretici e scismatici. Sono accusati di ribellione, di superbia.
Girolamo e Cassiano esagerano perché devono in quel momento difendere il cristianesimo copto. Possiamo stare sicuri che i tanto bistrattati sarabaiti non erano così perversi come li dipingono; anche se, con ogni probabilità, alcuni di essi non fecero onore alla loro vocazione, a parte gli abusi di cui li accusano i loro censori, il loro stile di vita era di per sé perfettamente accettabile. Altri autori, come Egeria e Cirillo di Gerusalemme, li ricordano con simpatia.
Questo modo di concepire e praticare la vita monastica era antico almeno quanto il cenobitismo egiziano. I remnuoth, i sarabaitae, i 'figli e figlie del patto', gli apotaktitai, i monazontes kai parthenas, menzionati negli scritti e nei sermoni di Atanasio, Egeria, Basilio, Gregorio di Nazianzo, Cirillo di Gerusalemme e tanti altri padri, in realtà appartengono a una medesima categoria di monaci il cui nome variava col variare dei paesi di origine. Per rendersene conto basta scorrere l'Itinerarium di Egeria di nobile famiglia fece parte di una comunità religiosa, situata probabilmente in Galizia; in questo diario descrive le tappe del suo viaggio [Egitto, Palestina, Mesopotamia, Costantinopoli], le chiese di Gerusalemme e dei suoi dintorni, incontra dei monaci nel Sinai, in Egitto, in Siria, in Mesopotamia, alcuni l’accompagnano; i monasteri si presentano come degli eremitaggi, nei pressi di una chiesa officiata da un prete).
Tutte le forme ascetiche descritte possono rientrare nell'ampia "terza categoria di monaci" che incontriamo da ogni parte. Secondo Giuliano l'apostata i cristiani davano il nome di apotaktitai a quei monaci itineranti che vivevano di elemosine. Sono girovaghi. Altri vivevano in luoghi appartati da soli o in piccoli gruppi. In genere abitavano nelle città o nei villaggi. Si raccoglievano intorno a una chiesa   le vergini sotto l'autorità di una diaconessa   e partecipavano attivamente al culto divino. Dipendevano giuridicamente dal vescovo locale. Erano animati da due concetti: un vivo entusiasmo per le cose dello spirito, una marcata avversione per i beni terreni, come il matrimonio, le ricchezze, gli onori e le comodità (questo rifiuto sfociò a volte nello scisma e nell'eresia). Tutti avevano il dovere di notificare al vescovo la loro decisione.
In occidente registriamo un fenomeno molto simile se non identico. Si tratta di comunità di chierici, di vergini e di monaci laici, raggruppate sotto la direzione di un vescovo o di un presbitero (Eusebio a Vercelli, Martino a Tours, Ambrogio a Milano, Agostino a Ippona... ).
"Fu questa la vita monastica che sbocciò spontaneamente in seno alle chiese cristiane, frutto delle diverse forme di fervore religioso. Il monachesimo figlio dell'ascesi primitiva, era ispirato dalle stesse tendenze che in Egitto spingevano i solitari a inoltrarsi nel deserto onnipresente. L'organizzazione embrionale, la mancanza di equilibrio nelle convinzioni ascetiche, la nutrita presenza dei monaci in tutte quelle zone in cui non si erano fatti strada i valori del cenobitismo copto, sono elementi che ci inducono a collocare le sue origini in un momento “almeno altrettanto lontano rispetto a quello in cui Antonio reclutava i suoi primi discepoli".

Antonio (250 356) (anacoreta/eremita)
Nacque a Coma (oggi Kiman el Arus), nel medio Egitto da genitori contadini benestanti. "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che hai, dallo ai poveri". Ascolta l'invito. La vocazione di Antonio è autenticamente evangelica.
Si stabilisce in un tugurio con un anziano, lavora, prega, visita altri campioni spirituali, è equilibrato, lotta con il demonio.
Va a stabilirsi più lontano in un luogo zeppo di tombe e i demoni si fanno avanti col picchiarlo, assumono l'aspetto di belve spaventose. Ha vinto. Ha 35 anni.
Ora avverte la necessità di ritirarsi nel cuore del deserto: é il passo definitivo e si stabilisce all'interno di un forte abbandonato. Trascorrerà vent'anni della sua vita. Ha 55 anni, è il perfetto uomo di Dio e riceve il dono della paternità spirituale. Si forma una colonia di eremiti. Si direbbe che ci troviamo in un mondo nuovo, i cui abitanti vivono già la vita della città celeste. E' l'atto di nascita, secondo Atanasio, del monachesimo del deserto. Sono fondate numerose colonie monastiche. Queste attività furono interrotte dalla persecuzione di Massimino. Antonio e i suoi discepoli decisero di recarsi ad Alessandria. Ma il prefetto romano li fece espellere. Dopo il martirio del patriarca Pietro (311), Antonio si rivolse ancora alla sua solitudine, deciso a farsi martire attraverso un'ascesi sempre più rigorosa. Ma il nuovo deserto era diverso da quello di prima. Tutto il mondo lo cercava e lo venerava come santo e uomo di Dio. E così pensò bene di scappare e nascondersi.
Scopre un luogo piano, un luogo ideale per vivere da eremita. I suoi discepoli trovano il suo nascondiglio e si accordano per incontrarsi periodicamente.
Fa un altro viaggio ad Alessandria, invitato con insistenza dai vescovi e da tutti i fratelli a smentire gli ariani, che avevano affermato che Antonio condivideva le loro idee. Trascorse gli ultimi quindici anni di vita in compagnia di due discepoli.
Questo è il racconto di Atanasio. E' storicamente attendibile? Atanasio non avrebbe potuto inventare una biografia. Quanto ai miracoli, alle profezie e alle lotte coi demoni possiamo avanzare qualche riserva. E' molto probabile che vedesse i demoni dove non c'erano. Tuttavia fu uno dei taumaturghi più illustri che siano esistiti.
Antonio non apparteneva al clero, ma verso i sacerdoti mostrò sempre una grandissima venerazione. Gente di ogni condizione ricorreva a lui per chiedere consiglio. Costantino e i suoi figli gli scrissero delle lettere. Atanasio ed altri vescovi si recarono a visitarlo. Dava volentieri esortazioni riguardo alla salvezza dell'anima, sebbene talora non mancasse di durezza nel farlo, ma era nella solitudine soltanto che si trovava a suo agio. Sant'Atanasio disse di lui: "Fu un uomo tutto d'un pezzo, che non con gli scritti, né con la sapienza del mondo e nemmeno con qualche occulto potere, ma solo per la sua pietà è diventato celebre". “Antonio era solito mangiare una sola volta al giorno, dopo il tramonto, e talvolta non prendeva cibo per due, o spesso per quattro giorni. Il suo cibo era pane e sale; beveva solo acqua" (Atanasio).

Pacomio (292 346) (cenobita)
Lo sviluppo e l'organizzazione della vita anacoretica in raggruppamenti comportavano ancora molti pericoli: dal punto di vista spirituale, da quello materiale, perché il numero dei monaci così dispersi era troppo alto. Con Pacomio appare un nuovo tipo di monachesimo che, per reazione, non mette più l'accento sulla solitudine, ma sulla "vita comune" e, di conseguenza, sull'obbedienza. Dopo essersi esercitato per sette anni nella vita solitaria, Pacomio fonda, verso il 320, la sua prima comunità a Tabennisi, un villaggio abbandonato dell'alto Egitto. In seguito fonda altre comunità e compone per esse una regola, che è la più antica che si conosca. Cinto da un muro, il monastero pacomiano comprende, con la cappella e le sue dipendenze, una serie di case fatte per una ventina di monaci sotto l'autorità di un preposito, assistito da un sostituto; tre o quattro formano una tribù; tutte le tribù fanno capo all'abate, che con il suo assistente assicura la direzione spirituale della comunità e il buon funzionamento dei servizi generali. Le case delegano ogni settimana il numero dei monaci necessario a questi servizi. La maggior parte della giornata è, dunque, occupata nei servizi generali o nei campi. Ogni gruppo di lavoro ha il proprio capo, il quale deve rendere conto all'abate. Tutto è all'egiziana, come al tempo dei faraoni, i cui sovrintendenti vigilavano sul lavoro; la differenza sta nel fatto che qui tutto si svolge volontariamente. Ciò che Pacomio pretendeva era di pervenire all'autentica unione dei cuori, all'unanimità. Ma la primitiva comunità di Gerusalemme era il modello che si doveva imitare. "Un cuor solo e un'anima sola". E dunque per Pacomio questa idea si materializza nei servizi che i fratelli reciprocamente si prestano. Pacomio si oppose ad ogni estremismo. Esigeva regolarità nei pasti come nel culto divino e voleva che le sue comunità fossero autosufficienti mediante il lavoro dei monaci, come l'intrecciare stuoie e il coltivare frutta e verdura. Chi entrava nella sua comunità doveva depositare i suoi beni in un fondo comune e diventava membro a pieno diritto dopo un periodo di prova. Per dimostrare la loro serietà di intenzione, i novizi dovevano restare fuori della porta del monastero per parecchi giorni. Bisognava imparare a memoria alcune parti della Bibbia. Agli analfabeti si insegnava loro a leggere e a scrivere.
Pacomio moriva nel 346, ma la sua opera continuava a diffondersi. Gerolamo racconta che a Pasqua, quando i monaci di tutti i monasteri, retti dalla regola di Pacomio, venivano pellegrinando a Tabennisi, se ne potevano vedere radunati fino a 50.000 (le cifre che ci forniscono le fonti certamente non concordano: Cassiano e Sozomeno 5000, Palladio 3000, Gerolamo 50.000... !). Bisogna capire che il monachesimo di Pacomio fu una specie di movimento sociale e che non era solo la devozione che muoveva tanti ad abbandonare il lavoro nei domini statali, ma la maggior umanità con cui erano trattati nel monastero.
A differenza di Antonio, Pacomio non era un ricco proprietario quando aveva abbracciato la vita monastica. Per guadagnare da vivere sia lui che i suoi primi compagni lavoravano come braccianti agricoli. Non era tuttavia l'agricoltura, ma il lavoro manuale ad assicurare ai monaci le principali risorse. I monasteri pacomiani erano vere e proprie repubbliche di lavoratori di ogni genere.

Nell’ordine dei pacomiani si segnalano due figure:
Orsiesi, abate generale, durante il cui governo ci fu un’ondata di secolarizzazione che investì la maggior parte dei monasteri e portò già nella seconda generazione del cenobitismo ad una prima “controversia sulla povertà”; nominò suo sostituto Teodoro (350-368) che riportò la Koinonia (12 monasteri maschili e 3 femminili). Orsiesi muore dopo il 386 con un testamento in cui richiama l’eredità di Pacomio, la povertà senza compromessi, la Sacra Scrittura come fondamento della aspirazione ascetica. Nel 390 Teofilo vescovo di Alessandria fece costruire sulla costa egiziana del Mediterraneo il monastero pacomiano  della Metanoia sul luogo del santuario di Serapide a Canopo, da lui distrutto.

Basilio (330 379) (regola)
Il monachesimo si estende sempre più in tutto il vicino Oriente: in Palestina, all'inizio del sec. IV, con la 'laura' (=villaggio), in Siria. Il progresso decisivo viene però realizzato da Basilio di Cappadocia che, verso il 357 si fa monaco e poi, dopo un viaggio di informazione in Egitto, si stabilisce in una proprietà di famiglia sui monti del Ponto con un gruppo di amici, fra i quali Gregorio, che diventerà più tardi vescovo di Nazianzo.
Con Basilio vediamo generalizzarsi la nuova concezione dell'istituzione monastica, promossa anche da Gerolamo; essa farà legge nella storia della chiesa e avrà uno sviluppo nuovo e originale con il monachesimo benedettino (VI secolo in poi): l'accento è messo ormai deliberatamente sulla vita comune come norma dello sviluppo della vita spirituale. Basilio aveva capito che la vita cristiana è soprattutto comunitaria, cioè vita di amore scambievole, riflesso della vita trinitaria che ne è il modello. Perciò nelle due regole che scrisse per i monaci, ritornò insistentemente sull'unità, a cui essi dovevano arrivare, attraverso l'amore, perché si realizzi quella promessa di Gesù a chi è unito nel suo nome.
L'ideale di Basilio e dei suoi compagni consiste nel seguire Cristo, l'unica strada che conduce alla vita. I mezzi per riuscirvi sono la rinuncia, l'ascesi e lo sforzo per giungere a Dio attraverso la preghiera. Le occupazioni ordinarie del gruppo si riducono a quattro: salmodia comunitaria, lavoro manuale, accompagnato dalla preghiera segreta e dal canto di inni; lettura e meditazione delle scritture; preghiera personale o privata. Basilio, essendo monaco e poi vescovo, integrò maggiormente le comunità monastiche nella chiesa. Era convinto che spettasse al vescovo l'autorità suprema sui monasteri. Al tempo stesso i monasteri cominciarono ad aprirsi maggiormente al mondo.
Basilio perfezionò il cenobitismo fondato da Pacomio.
L'opera di Pacomio è pratica e concreta, mentre quella di Basilio si fonda su una dottrina ascetica e monastica coerente, perfettamente sviluppata, vivacemente motivata e dedotta in modo logico da principi chiaramente enunciati.
Pacomio crea monasteri immensi, Basilio preferisce comunità molto più ristrette, autentiche 'confraternite'.
Pacomio è un accentratore, Basilio opta per il decentramento.
Pacomio ammorbidisce l'ascesi individuale; Basilio non vi fa affidamento.
Pacomio impone una grande quantità di lavoro manuale: Basilio trova un equilibrio migliore tra lavoro e preghiera...
     Basilio organizzò in modo originale un cenobitismo autentico e integrale.


Nenhum comentário:

Postar um comentário